Incontri Burri, Frangi, Verlato

Incontri
Burri, Frangi, Verlato
Opening sabato 7 giugno ore 18.00
8 giugno – 19 luglio 2025
Testo di Chiara Pirozzi
Il discorso sulla luce è un topos fondante della ricerca e della pratica artistica, maggiormente sentito nel linguaggio della pittura. La luce rappresenta un elemento poetico in grado di costruire forme e contenuti dell’opera che l’artista non percepisce come principio intangibile bensì come materia plastica, dotata di un peso specifico e, per questo, capace di sostanziare spazi e rappresentazioni. Se la luce, dunque, descrive un denominatore comune alla sperimentazione visiva, quest’ultima può accomunare artisti dissimili per ricerca, esperienza e visioni ma che, nella stratificazione significativa dei propri lavori, ritrovano il tema della luce come principio d’immaginazione e d’espressione.
La mostra negli spazi della Galleria Nicola Pedana mette in dialogo per la prima volta tre autori italiani: Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), Giovanni Frangi (Milano, 1959) e Nicola Verlato (Verona, 1965) che, pur nella diversità degli intenti, concepiscono la luce come materia anti-effimera che ritrova il suo senso pieno, e senza soluzione di continuità, nel suo opposto: l’ombra. In questo insolito confronto, le opere di Alberto Burri rendono organico il discorso sulla luce, qui proposto nella sua capacità di fondersi alla materia utilizzata, lasciandone emergere l’energia vitale generata dalla sua trasformazione. Giovanni Frangi, il cui discorso sulla luce si allarga anche all’utilizzo della fotografia, costruisce e indaga paesaggi e ambienti naturali a partire dall’utilizzo del gesto e del segno che sulla tela costruiscono lo spazio grazie all’utilizzo sapiente di luce piena, di ombre e di penombre. Nicola Verlato affida al figurativo, fra mitologie antiche e contemporanee, la sua ricerca artistica, lasciandosi ispirare, come spesso dichiarato dall’artista, dalla sua fascinazione verso Caravaggio e, dunque, da una luce che diviene carne.
L’incontro fra i tre autori lascia emergere un’ulteriore possibilità di riflessione che riguarda nello specifico gli attraversamenti di astrazioni e figurazioni che nel loro confrontarsi non appaiono così distanti. Nei Cellotex, con un ritorno al linguaggio seppur sperimentale della pittura, Burri propone campiture di colore a contrasto che sembrano costantemente tradire o confondere i principi dell’astrazione giocando con forme sagomate, quasi figure primordiali o simboliche. L’artista amalgama materie, forme e colori elaborando visioni che, nel contesto ampio e articolato della sua decennale ricerca, appaiono come possibili sezioni di paesaggi o corpi. Giovanni Frangi nei suoi dipinti sembra scuotere i paesaggi rappresentati, decostruire forme e sfocare rappresentazioni. Nel suo gesto, Frangi sfida l’ordine della figurazione andando oltre il referente proposto, aprendo a immaginari onirici in cui il dato reale si infrange con l’immaginario e la traccia pittorica e del disegno contempla l’astrazione nel suo muoversi fra il dentro e il fuori del vero.
Nicola Verlato attinge al mito e alla storia con sapiente maestria e virtuosismo del tratto, i suoi lavori fondono e confondono realtà e fantasia che, seppur mantenendo costante la figurazione, immergono lo spettatore in mondi alternativi e paralleli come attivatori di processi intangibili.
Il percorso espositivo proposto negli spazi della Galleria si presenta allo spettatore come un continuo stimolatore di rimandi e connessioni fra i tre autori, una sfida e un allenamento dello sguardo non canonico o tradizionale bensì rizomatico, stimolante, perturbante. Burri, Frangi e Verlato in questo incontro generano vicendevolmente cortocircuiti e congiunzioni, accomunati da una precisa idea di luce e un differente ma parallelo modo di attraversare i contesti del corpo e del paesaggio, della materia e della pittura.
La mostra Incontri propone, dunque, un possibile percorso, non lineare bensì discontinuo, attraverso
lo sguardo di tre autori e mette in scena il corpo della pittura come forma di esperienza attraverso i sensi.
Arno Beck Missed Calls

Missed Calls
Arno Beck. Il tradimento delle immagini
Per la prima mostra personale negli spazi della galleria Nicola Pedana, Arno Beck presenta una nuova serie di opere che mettono in dialogo l’immagine digitale con la sua riproduzione analogica. L’artista dipinge composizioni astratte che sembrano state generate da un software, ma che in realtà sono frutto di un processo pittorico che preserva l’ambiguità sulla provenienza dell’immagine stessa. Partendo da una riflessione sulla pittura nell’era del digitale, Beck si muove al confine tra le due dimensioni, giocando sulla simulazione e avvalendosi di tecniche diverse che dalle quali emerge uno scambio continuo tra la mano e la macchina, espressione della realtà nella quale viviamo.
Che cos’è un’immagine? Segno, forma, rappresentazione. Le immagini dominano il mondo in cui viviamo ma non sempre si rivelano per quello che sono: sono un artificio del pensiero, sia che ritraggano qualcosa che ha posato davanti un obiettivo, sia che generino una forma immaginaria. L’ambiguità che ogni immagine racchiude – lo dichiarava già René Magritte nel suo Ceci n’est pas une pipe – è al centro del lavoro di Arno Beck, pittore di formazione che ha ben presto iniziato a sperimentare il potenziale delle immagini create nell’universo digitale. Disegnare su una tavoletta non è che un altro modo per generare forme, tuttavia l’”essenza” di queste immagini – se tale si può definire – è destinata a restare un codice numerico, intrappolato in un dispositivo hardware. Beck ha dunque messo in atto negli anni un processo di traslazione che dallo schermo approda alla realtà fisica, servendosi di macchinari utili a trasferire il segno computerizzato in una forma pittorica. Un percorso che dal digitale conduce all’analogico, tracciando una strada inversa a quella più comunemente battuta. In questa ultima serie di lavori, Beck compie un passaggio ulteriore: eliminata la mediazione della macchina, torna alla pittura manuale nel tentativo di recuperare un rapporto più diretto con la realtà fisica, che includa anche errori e imperfezioni assenti nella pura replica meccanizzata. Rimanendo nel contesto di una riflessione sul ruolo della pittura nell’era digitale, Beck assume dunque un nuovo punto di vista che rimanda al concetto di simulazione: forme e segni appaiono “come se” fossero stati creati al computer ma in realtà sono ottenuti grazie a una concomitanza di tecniche pittoriche – dalla stesura a pennello alla pittura spray – che rivendicano una matrice prettamente analogica. La freddezza e la precisione della codificazione digitale lasciano spazio così all’imprevisto dato dall’azione umana: tuttavia, il risultato finale mantiene un forte rimando all’elaborazione digitale, costringendo a interrogarsi sulla provenienza e lo statuto di queste immagini. Ad aumentare tale senso di straniamento sono alcune soluzioni adottate dall’artista: la scansione della superficie in sfondi dal colore diverso, che evoca la compresenza di dimensioni differenti; il riempimento delle forme con effetti che rimandano a texture pixellate; le linee spezzate che imitano un’interruzione del segno. Per descrivere la sua pratica, l’artista ricorre spesso alla parola inglese “blur”, in italiano “sbavare”, “offuscare”, “sfocare” ma anche “confondere”. Ed è proprio nel solco dell’equivocità tra la fugacità del digitale e la tangibilità del reale che Beck opera con la creazione di questi nuovi dipinti: un gioco forse, ma anche un rinnovato invito a diffidare delle tante immagini che ci circondano.
Alessandra Troncone
Marco Tirelli

Marco Tirelli
Opening 9 novembre ore 18.00
Dal 10 novembre al 12 dicembre 2024
Con un testo di Chiara Pirozzi
Galleria Nicola Pedana, Caserta, Italia
Per gli spazi della Galleria Nicola Pedana, Marco Tirelli presenta un ciclo di lavori in cui emergono una serie di elementi peculiari della sua ricerca come la relazione fra immagine e spazio. Costantemente interessato alla dimensione architettonica, Tirelli definisce la terza dimensione attraverso la presenza costante dell’oggetto che, sospeso nel tempo e nel luogo indefiniti, genera un’immagine-soglia da oltrepassare con lo sguardo al fine di misurarsi con differenti concezioni e scenari. Lo spazio architettonico è definito nei lavori anche attraverso il principio della luce che, non solo rivelatrice, diviene presenza materiale essa stessa, corpo nell’ambiente, fendente da attraversare. Nel gioco della figurazione e dello sfumato, l’artista propone modelli appartenenti alla geometria piana e solida, elementi essenziali che trattengono in sé infinite forme possibili. Le opere si definiscono come “affacci” in cui il dentro ammette il fuori e l’immaginario si potenzia grazie all’osservazione, ben oltre la rappresentazione e l’apparenza. La mostra offre un percorso visionario nella poetica di Marco Tirelli capace di sintetizzare nella riconoscibilità dell’immagine familiare e dello spazio del quotidiano l’universalità del segno proposto. Un ulteriore elemento fondante della ricerca dell’artista è l’idea di movimento che attraversa sia le singole opere sia il modo con cui concepisce i percorsi espositivi. Il movimento in Tirelli non descrive solo un’attività fisica, del corpo o dell’oggetto rappresentato, ma anche un’attitudine della mente che stratifica memorie ed esperienze, trasformandole in energia propulsiva per interpretare il presente. Se la figura umana sparisce nelle sue opere, questo non sta a significare un allontanamento dal fenomenico della realtà bensì quest’ultima corrisponde al campo in cui agisce l’artista e l’individuo. Tirelli prende dal vissuto che attraversiamo e da cui ci facciamo attraversare; momenti, relazioni, percepiti e stati d’animo che si sedimentano come detriti nella nostra mente e sono in grado di generare forme d’archivio visivo a cui attingere. I lavori di Marco Tirelli sono bel lontani dal principio della contemplazione, che relegherebbe la loro essenza in un principio di passività, ma si fondano sull’idea di strumento pratico, sono osservatori sull’odierno che si offrono come modelli interpretativi della realtà. Conoscere il mondo, secondo Tirelli, significa stare al mondo, vivere nella dualità costante di influenzare gli accadimenti e di lasciarsi forgiare da essi; in questa logica risiede il ruolo dell’artista che sublima il vissuto, traducendo il particolare in generale. Nonostante l’autore utilizzi immagini transtoriche e transculturali, capaci per questo di intercettare pluralità e particolarismi, in esse ritroviamo un denominatore che le accomuna, ovvero la presenza strutturale della luce come elemento generante forme e contenuti. La luce nelle opere di Tirelli è materia plastica che fa emergere l’oggetto, lo vivifica nello spazio e lo fa vibrare senza sosta, essa oscilla fra ciò che intercorre fra il bianco e il nero, fra il pieno e il vuoto, definisce i piani di cui è composta l’immagine e si offre come una possibile visione delle cose. Se la luce appartiene all’epifania del soggetto, ciò che ne deriva è l’ombra che per l’artista è una conferma di realtà, ovvero una proiezione di essa come immagine-simulacro che, nel suo permanere, definisce la sua sostanza di immaginearchetipo.Nell’estremo rigore derivante dalla sintesi, l’autore ci offre un alfabeto che, nel suo dispiegarsi attraverso il viaggio espositivo, diviene vero e proprio linguaggio la cui trasmissione resta nota a tutti. Se esiste una forma di mistero nelle opere di Marco Tirelli, questo non è da ricercarsi nell’inafferrabilità del senso bensì nel loro offrirsi come chiavi di lettura del quotidiano che aprono alla complessità piuttosto che alla semplificazione dell’interpretazione. Le forme geometriche proposte nei lavori in mostra definiscono in un pentagramma visivo lo spazio della galleria, giungendo alla descrizione di un ambiente unico originato da molteplici punti di vista. In questa ritmicità, lo sguardo dell’artista si moltiplica attraverso le intuizioni retiniche dell’osservatore, generando percezioni sensibili che, dalla superfice, riescono a incidere nel profondo. Le opere di Marco Tirelli rappresentano paesaggi mentali, sostanze oniriche e memorie sedimentate, protese verso l’accadimento e il contingente.
Petrichor

“Petrichor”
Victoria Kosheleva, Matěj Macháček, Kateřina Ondrušková, Andrea Polichetti
e Giacomo Serpani
Curated by Domenico de Chirico Opening 28 settembre ore 18.00 29 settembre al 26 ottobre 2024
Sabato 28 settembre dalle ore 18.00 la Galleria Nicola Pedana è lieta di ospitare la mostra collettiva “Petrichor” con lavori di Victoria Kosheleva, Matěj Macháček, Kateřina Ondrušková, Andrea Polichetti e Giacomo Serpani, a cura di Domenico de Chirico.
Di salmastro e di terra hai le vene, il fiato (1), così, forte della sua capacità di catturare le sfumature dell’esperienza umana, Cesare Pavese poetava in uno dei suoi suggestivi componimenti. Ab origine, il realismo simbolico che caratterizzava il suo narrare era volto a rappresentare la realtà attraverso i simboli e tutto ciò che si cela al di qua della parvenza, dando per assodato che «il simbolo […] è un legame fantastico che tende una trama sotto il discorso (2)».
E allora, allegoricamente parlando, qual è quella trama misteriosa che consente alle vene di pulsare, al sangue di confluire e al fiato di soffiare imperituramente? La risposta risiede probabilmente in quell’odore della pioggia che inebria la terra asciutta subito dopo una pioggia inattesa di fine estate, ovvero il petricore: dal greco πέτρᾱ pétrā “macigno, pietra” e ἰχώρ ichṓr, “icore, linfa intesa come sangue degli dei”.
Grazie alla forza pervasiva del vento, le sue particelle odorose si diffondono ovunque in modo lepido, eclissando ogni forma di brulla desidia. Ed è così che la mostra collettiva in questione si erge a labaro di un desiderio di riavvicinamento alla natura grazie alla quale si possono svilire i tormenti e gli sconvolgimenti della modernità ove, come diceva Henry David Thoreau, filosofo statunitense precursore dell’ambientalismo e della nonviolenza, tutto si è ridotto a mercificazione, profitto e spettacolarizzazione, qui dove persino il confluire disinvolto dell’acqua non ci appartiene più.
E dunque, sulla base di tali precetti, ‘Petrichor’, proponendosi come un terreno fertile particolarmente incline alla riflessione, intende affrescare, profumandolo, quell’avveduto assioma thoreauniano secondo cui «il viaggiatore più veloce è quello che va a piedi». Così, per mano di Victoria Kosheleva, Matěj Macháček, Kateřina Ondrušková, Andrea Polichetti e Giacomo Serpani viene originato un inedito locus amoenus dai valori allentati e semplici, la cui aria arcadica sa di originalità, di fecondità e dei più svariati modi d’essere.
Motto - Kyle Austin Dunn

Kyle Austin Dunn
“Motto”
Opening 27 aprile ore 18.00
Dal 28 aprile al 22 giugno 2024 Galleria Nicola Pedana, Caserta, Italia
La galleria Nicola Pedana è lieta di presentare “Motto”, prima mostra personale europea del giovane artista californiano Kyle Austin Dunn.
Con il termine “motto” generalmente si intende, sia nella lingua inglese che in quella italiana, una parola o un termine che viene collettivamente e socialmente riconosciuto e condiviso da un gruppo di individui. La storia nel corso del suo tempo ha fornito svariate parole con le quali si sono racchiusi concetti, ideologie e pensieri. Esse hanno avuto un’importanza tale nella vita delle persone che sono state fonte di ispirazione e dalle quali si sono fatte condurre. Da questo concetto prende forma l’opera dell’artista che attraverso la sua poetica, permette di esplorare in modo più approfondito l’essenza stessa del concetto di “motto” e di come esso possa influenzare e guidare l’individuo.
I suoi dipinti sono caratterizzati da una vibrante energia e una profonda ricerca di equilibrio tra forma e colore. Le linee che si intrecciano e si sovrappongono creano un’intensa varietà di tonalità e forme, che si fondono in un armonioso insieme tridimensionale. L’ artista opera sulla tela come una macchina precisa e meditata, sviluppando per ogni linea un criterio, una dimensione che vive in relazione alle altre. Il risultato è estremamente ottico, distopico e illusionistico. Come onde, vibrazioni e drappeggi la cui composizione sembra muoversi sotto il nostro sguardo. Attraverso la sua espressione artistica, riesce a trasmettere un senso di universalità e condivisione delle esperienze umane, grazie alla capacità di creare un linguaggio visivo comune che parla direttamente al cuore e alla mente dello spettatore. Come il motto, le forme realizzate dell’artista si fanno espressione di un qualcosa di collettivo; lo sguardo così si omologa nell’atto interpretativo e sensoriale, indipendentemente dal punto di vista prospettico.
Kyle Austin Dunn si conferma così come un talento emergente nel panorama artistico contemporaneo, capace di trasformare concetti astratti in opere visive coinvolgenti e suggestive.
La mostra pensata e progettata per gli spazi della galleria, si presenta come un fiume di colori, linee e forme in cui ognuno può trovare il proprio spirito guida, il proprio motto.
Miart 2024

Artisti I Artists: Alessandro Giannì, Lisa Ouakil e Vickie Vainionpää.
Vi aspettiamo al Pav. 3 — Stand A 04
11 Aprile VIP Plus dalle 11:00 fino alle 21:00
VIP dalle 13:00 fino alle 21:00
12 – 13 aprile ore 11.30 – 20.00
14 aprile ore 11.00 – 19.00
Viale Scarampo, Milano IT
We will be waiting for you at Hall 3 — Booth A 04
April 11th VIP Plus from 11:00 a.m. until 9:00 p.m.
VIP from 1:00 p.m. until 9:00 p.m.
April 12th – 13th to 11.30 a.m – 8.00 p.m
April 14th to 11.00 a.m – 7.00 p.m
Viale Scarampo, Milano IT
Armonie Sintetiche - Roberto Pugliese

Domenica 17 dicembre dalle ore 17.00 la Galleria Nicola Pedana è lieta di ospitare la mostra personale di Roberto Pugliese (Napoli, 1982) dal titolo Armonie sintetiche, accompagnata da un testo critico di Chiara Pirozzi.
La mostra Armonie sintetiche è concepita come un percorso attraverso le opere più recenti di Roberto Pugliese in cui è resa evidente l’incessante ricerca dell’artista nelle possibili forme di estetizzazione del suono che – nel mettere a dialogo analogico e digitale, tradizione e innovazione tecnologica – sono capaci di generare nuove visioni e inediti processi esperienziali. Nei suoi lavori, Roberto Pugliese coniuga sapientemente le sperimentazioni nel campo della composizione di musica elettronica e contemporanea con la pratica visiva e scultorea, giungendo alla realizzazione di opere in grado di modellare lo spazio grazie alla duplice componente sonora e installativa.
Il percorso espositivo presenta alcune opere del ciclo intitolato Strumenti aumentati in cui alcuni dispositivi musicali tradizionali – come violini,
mandolini e chitarre – sono modificati dall’artista mediante particolari trombe realizzate con la stampa 3D che, come dei risonatori, amplificano e alterano la partitura composta dall’artista proveniente dallo speaker posto all’interno dello strumento.
La ricerca sulla possibilità di trasformare le onde sonore in scultura e viceversa rappresenta il comune denominatore del ciclo di opere intitolato
Partitura possibile in cui Pugliese, a partire da un collage di spartiti musicali, opera una stratificazione di piani costituita da disegni e piccole sculture dalle forme biologiche sospese fra i piani grazie a tensostrutture e che rappresentano l’immagine bidimensionale e tridimensionale della composizione sonora realizzata dall’artista.
La mostra presenta inoltre diverse installazioni ripensate e riprogettate dall’artista appositamente per gli spazi della galleria come Fluide propagazioni alchemiche in cui Pugliese sperimenta le differenti propagazioni del suono in diversi liquidi all’interno di ampolle e alambicchi e come Soniche visioni olografiche dove una serie di proiettori olografici, progettati e stampati 3D dall’artista, intrecciano visioni sospese e sonorità create ad hoc mediante processi “audio reactive”.
Armonie sintetiche propone un viaggio esperienziale attraverso la ricerca artistica di Roberto Pugliese che ingaggia e coinvolge il pubblico attivando un dialogo costruito da immagini armoniche e luoghi sintetici.
ANIMAL SYMBOLICUM

Opening
Sabato 11 Novembre 2023 h 18.00
P.zza G. Matteotti, 60 – Caserta CE
Sabato 11 Novembre, la Galleria Nicola Pedana inaugura una mostra collettiva dal titolo ANIMAL SYMBOLICUM, con gli artisti Arno Beck, Fabrizio Cotognini, Federica Di Carlo, Alessandro Giannì, Eric Pasino, Giulia Querin e Caterina Silva.
La molteplicità delle ricerche che caratterizza le opere degli artisti è tenuta insieme dalla linearità di una nuova lettura proposta: quella dell’universo simbolico che emerge dai lavori esposti, in dialogo tra loro negli spazi della galleria.
L’essere umano, la bestia, l’iconografia sacra, l’utilizzo “magico” della tecnologia o della scienza, emergono nelle opere come forme simboliche, generando un discorso sull’iconologia che riflette, come davanti ad uno specchio, il ruolo interpretativo dello spettatore.
La mostra è accompagnata da un testo essoterico di Giuliana Benassi.